Fondamentalmente è un quaderno di appunti, di cui ho dannatamente bisogno. Un po' perché dimentico molte cose e un po' perché scrivere spinge a ricercare e a sistematizzare.

venerdì 15 gennaio 2010

Tortino di gobbi al forno


2 chili di gobbi
burro, parmigiano, noce moscata, pepe


Il problema è rendere commestibili i gobbi. Andate al mercato e comprate questo ingombrante vegetale, almeno due chili. A casa cominciate con separare le coste e lavarle, poi privatele dei fili come fareste con del sedano, tagliateli a pezzi di qualche centimetro e gettatele in acqua e limone. Lessate i gobbi in acqua salata finché non sono morbidi. Nel frattempo scaldate il forno a 180 gradi.

Mescolate parmigiano reggiano, pepe e noce moscata. Imburrate una teglia da forno e tassellatela con i gobbi. Cospargete con la mistura a base di parmigiano e con pezzetti di burro. Ripetete finché non esaurite i gobbi. Infornate una ventina di minuti fino a doratura.

martedì 12 gennaio 2010

Opfergang / Immolazione di Hans Werner Henze

Ieri sera all'Auditorium di Roma ho ascoltato la prima esecuzione assoluta della nuova opera di Hans Werner Henze. Composta su commissione dell'Accademia nazionale di Santa Cecilia, è stata ultimata dal suo autore ottancinquenne solo poche settimane fa. Henze vive in Italia da cinquanta anni e risiede oggi in una villa a Marino, nei castelli romani.

Ricordo di essere stato un entusiasta ascoltatore di Henze circa trenta anni fa. La sua musica si può definire ormai classica: le tecniche dodecafoniche e altre caratteristiche compositive che riconosco soltanto a orecchio non mi pare vadano oltre gli anni '50. Eppure, quando insieme a mio padre negli anni '80 mi capitava di ascoltare Henze e altri compositori della sua generazione ai concerti di Santa Cecilia, l'impressione era ancora di appartenere ad una setta di carbonari, attorniata da abbonati ottuagenari dediti alla pennichella domenicale sulle comode poltrone dell'auditorium di via della Conciliazione.

Ieri il pubblico e l'orchestra erano indubbiamente cambiate, mentre Antonio Pappano sembrava provenire da un nuovo mondo dove è normale che il direttore d'orchestra legga al pubblico una pagina dal programma di sala, con chiaro intento educativo.

Turbati dall'impeto del pianoforte concertante, che alterna gli assalti al suo strumento ai gesti di esortazione rivolti agli orchestrali, gli spettatori ascoltano i versi sconvolgenti di Franz Werfel, poeta espressionista tedesco rivestiti di musica gonfia di suggestioni moderne, in primo luogo dodecafoniche. Henze scrive nel suo diario di lavoro di Opfergang: "Immagino come Werfel abbia letto a Praga al suo amico Kafka la poesia Das Opfer". E pensando alle parole del cane, sempre più entusiasta del suo carnefice ("Mein Herr, mein Geliebter"), si percepisce il protagonista mentre precipita nella sofferenza e nella follia.

Gli interpreti principali Ian Bostridge e John Tomlinson sono perfettamente calati nei loro personaggi, come possono essere due interpreti ai quali il compositore si è ispirato nello scrivere l'opera. E lo stesso si può forse dire di Antonio Pappano. Certo, tutto sa di accademia, nel senso di una produzione culturale generata all'interno di una comunità di pari o di eletti. Prevale però, mi pare, il sollievo e la gioia di comprendere rispetto al timore e all'odio per essere stati esclusi. All'opposto dello Straniero di Opfergang, cacciato e umiliato dagli uomini fino a trasformarsi in assassino.

sabato 9 gennaio 2010

Risotto con le rape

Le mie lontane radici trevigiane, che in termini araldici assommano a mezzo quarto, mi hanno dato occasione di apprezzare le luganeghe in una strepitosa minestra, di cui credo esista anche una versione a risotto. Purtroppo a Roma non so dove trovare luganeghe almeno simili a quelle profumate e speziate che abitano nel mio ricordo. Ho quindi provato a ridurre questo piatto a semplice risotto con le rape con risultati interessanti.

gr 200 di riso
una rapa di circa gr 200 
una cipollina
brodo
burro
parmigiano


Tagliare a cubetti la rapa e sbollentarla in acqua non salata. Nel frattempo soffriggere la cipolla tagliata fine nel burro. Scolare la rapa, aggiungerla alla cipolla, coprire con un po' di brodo e proseguire la cottura a lungo mescolando di tanto in tanto. In mancanza di brodo si può utilizzare l'acqua di cottura della rapa insieme ad un dado.

Aggiungere il riso e tirare a cottura aggiungendo il brodo necessario. Mantecare con burro e un cucchiaio di parmigiano, che può essere aggiunto anche a tavola.

mercoledì 6 gennaio 2010

Il canto delle spose (Le chant des Mariées)

Stupendo film di Karin Albou, racconta la storia di due ragazze, una musulmana e una ebrea, alle soglie del matrimonio durante l'occupazione nazista di Tunisi.
Parte del fascino di questo film deriva dal fatto che pochi sanno che la Tunisia è l'unico Paese arabo ad avere subito l'occupazione diretta dei tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Le due ragazze, amiche appassionate, abitano in un quartiere povero della città, e neanche l'odio razziale riesce a separarle. Forse perché la comunità ebraica tunisina risale al 5° secolo a.C. (decisamente prima della sinagoga di Ostia del 1° secolo a.C.). E forse perché l'amicizia femminile è più forte di quella maschile, soprattutto nel mondo arabo.
Le risonanze contemporanee sono numerose, anche per un occhio italiano. La colonna sonora, discreta ma insolita nei passi decisivi della storia (Naturträne di Nina Hagen), rafforza la presa sugli spettatori contemporanei.
Altamente raccomandato.

lunedì 4 gennaio 2010

Tanti anni fa...

Tanti anni fa...
...prima di andare a dormire spegnevo il router ADSL
...quasi nessuno usava quotidianamente la posta elettronica
...scrivevo con la penna più spesso che con la tastiera
...all'inizio dell'anno ricopiavo i numeri di telefono in una nuova rubrica
...in famiglia c'era un solo computer
...consultavo i dizionari e le enciclopedie
...ascoltavo i CD
...sentivo ripetere che Internet andava bene per gli ingegneri
...prima di comprare un oggetto spesso cercavo sul web in quale negozio della mia città potevo trovarlo

sabato 2 gennaio 2010

Accedi, recedi, annulla

Con l'obiettivo di diffonderne l'uso, da settembre ACI ed INPS hanno iniziato a distribuire gratuitamente ai cittadini delle caselle di posta elettronica certificata. A quanto pare, finora ne sono state distribuite circa 50.000, che non è un granché, ma entro qualche mese la casella di posta elettronica certificata dovrebbe essere distribuita gratuitamente a chiunque ne farà richiesta.

Anche se dovrei sapere di più al proposito, ho deciso di richiederla all'INPS più che altro a titolo sperimentale. L'operazione non è stata più difficile del previsto: è stato sufficente essere registrati ai servizi online dell'INPS (cosa che ho ottenuto con una certa fatica qualche anno fa), richiedere la casella online, stampare qualche modulo, compilarlo, recarsi di persona ad un ufficio INPS con la solita fotocopia di un documento d'identità e del codice fiscale, et voilà! Dopo un giorno ho ricevuto una mail e ho potuto accedere alla mia casella (in modalità webmail, benintesto).

La prima sorpresa è che non esiste un URL da utilizzare per connettersi al server web della posta certificata: devi andare sulla home page dell'INPS, passare al comunicato stampa, poi ad una pagina intermedia per inserire le tue credenziali (che naturalmente non puoi modificare, e sono impossibili da ricordare) e infine alla webmail.

La seconda sorpresa è che il gergo della nostra pubblica amministrazione non conosce confini, come dimostra l'etichetta del secondo pulsante:




A parte gli scherzi, mi rimane da capire cosa fare con questo presunto ennesimo strumento di semplificazione. Nessuno può sapere cosa succederà in futuro, ma la posta certificata esiste da anni e non ha mai sfondato per motivi squisitamente italiani che lascio scoprire al lettore intraprendente, magari partendo dalla voce di Wikipedia citata prima. Certo la versione gratuita ha limitazioni piuttosto serie, prima fra tutte l'impossibilità di utilizzarla per comunicare al di fuori della pubblica amministrazione. E mi sa che senza firma digitale (che nessuno si sogna di offrire gratis, almeno per ora) la posta certificata non sempre sia utile.

venerdì 1 gennaio 2010

Knish

knish, nati nel mondo ebraico dell'Europa orientale e trapiantati a New York, sono simili ai пирожки с картошкой (piroški s kartoškoj) della cucina russa. In pratica sono dei fagottini al forno ripieni di qualsiasi cosa, dalle patate lesse con cipolle al salmone con la panna.

Ne ho sentito parlare nel film "Whatever works / Basta che funzioni" di Woody Allen, che ho visto a settembre, dove i knish sono associati alla famosissima knish bakery di Yonah Schimmels, ripresa con affetto dal regista.

Sono un perfetto comfort food, ma sono anche straordinariamente economici (se fatti in casa, quattro knish a testa non costano più di un euro), ecocompatibili e sostenibili. Oggi è difficile considerarli uno spuntino, ma con un po' di frutta e verdura possono benissimo costituire una cena adeguata ad una sera invernale.

Dopo diversi mesi di esitazioni ho deciso di tentare un paio di ripieni. Le ricette in rete non mancano (cfr. per esempio Recipe: Knish Dough and Fillings oppure Knish Recipe del rabbino Michael Sternfield). Per semplicità ho cominciato a tradire la ricetta in più punti: ho usato della pasta sfoglia surgelata e ho evitato di impiegare il grasso di pollo che, confesso, mi intimorisce.

una pasta sfoglia surgelata di circa gr 500
due patate mezzane
due cipolle mezzane 
due salsicce
olio, sale, pepe

Scongelare e stendere la pasta sfoglia con l'obiettivo di ricavarne 16 quadrati di 10-15 centimetri di lato. Tagliare a pezzi le patate sbucciate e lessarle in acqua salata per dieci minuti. Scolare l'acqua, tenerle al caldo nello stesso tegame coperto per altri dieci minuti e poi schiacciarle. Soffriggere lentamente le cipolle tagliate fini in due cucchiai di olio, aggiungendo sale e pepe bianco. Soffriggere le salsicce sbriciolate in pochissimo olio. Ungere una teglia adeguata alla missione. Mescolare alle cipolle metà delle patate, e l'altra metà con le salsicce. Disporre al centro di ciascun quadrato una cucchiata di uno dei due composti, chiudere il quadrato ripiegando e sovrapponendo prima due lati opposti e poi gli altri due fino ad ottenere una sorta di pacchetto o fagottino. Disporre sulla teglia con le pieghe verso il basso. Infine, spennellare con un tuorlo d'uovo. Cuocere in forno a 180° per circa mezz'ora. Spegnere il forno e lasciare raffreddare lentamente.

Attenzione: tentare di mangiare un knish bollente può costare caro.